Specchi.

Se è vero che quello che vediamo negli altri

è lo specchio di ciò che siamo

allora io che scrivo e tu che leggi

facciamo entrambi schifo.

 

Non c’è via di scampo

né per me

né per te.

 

E allora spiegami

perché io soffro e tu no?

perché io scalcio e tu alzi in alto i calici?

perché io ho il fuoco dentro (e fuori) e tu fissandomi

getti via l’ultima acqua rimasta per spegnerlo?

 

Forse

devo solo gettare via i miei specchi

così da non poterti più vedere.

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Un tiepido calore.

E così finisci per non capire la ragione di tante cose.
Sai che alla fine non ti piace sentirti così però come una droga, capisci che non ne puoi fare a meno, altrimenti la vita ti scorre via sotto i passi.
Quando ti senti così, sei in una dimensione diversa, la dimensione in cui percepisci il tuo essere che, libero da ogni barriera, si lascia andare e non ha paura di altalenare tra il male e il bene, tra la sofferenza e la felicità. Perché in fondo è quello che vuoi, vivere senza doverti preoccupare del dolore che provi e provochi.
E allora via, liberi, liberi, liberi sempre, noncuranti del tempo che passa e della fiamma che si consuma.
Rimanere al buio ti piace, e sentire solo il tuo respiro bagnato dalle lacrime non ti fa paura, perché prima del buio hai vissuto in una luce talmente accecante che ti ha riempito gli occhi.
E quel tiepido calore che senti in fondo, tra il cuore e i polmoni, ti basta per non morire.

I maestri iniziatori.

Da qualche tempo faccio parte dell’Associazione Culturale ALTRA LETTURA, dove ci occupiamo di “leggere tra le righe”…

Questo testo è una riflessione sui “maestri iniziatori”, in occasione dell’incontro del 3 novembre sul tema “Come l’invenzione non evita il maestro”, tenutosi alla Biblioteca di Battaglia Terme.

 

«Il maestro è il grande dispensatore di luce – chi dunque è l’asino?»

(da “Incontri con uomini straordinari” di G. I. Gurdjieff)

 

 

Ho chiesto a un’amica studiosa di matematica che cosa pensasse al suono della parola frattali.

La sua risposta è stata: la perfezione che si ripete all’infinito.

Questa risposta mi ha subito fatto venire in mente la figura di un maestro iniziatore, quello che oggi qualcuno chiamerebbe “guru” per essere più alla moda.

Un maestro iniziatore è colui che rivela una verità ai propri discepoli con la speranza che costoro la rivelino a loro volta nel tempo, in un ideale di racconto, sempre uguale, della verità, perpetuato all’infinito.

Se pensiamo che questo sia un qualcosa di antico, magari solo legato alle religioni, ci stiamo sbagliando di grosso.

Oggi più che mai i maestri iniziatori sono tra noi, sono di tendenza e contemporanei.

Siamo nell’epoca dei nuovi culti, in cui persone qualunque, o per usare un epiteto ancor più deciso, persone qualsiasi si autoproclamano maestri e folle di seguaci (non è poi questa la traduzione letterale dell’inglese “follower”?) li ascoltano. O almeno, credono di farlo.

Ci sono i maestri della rinascita, coloro i quali hanno visto la morte, in senso lato sia essa la morte del corpo, della moralità, dei principi, della parola, dell’intelletto e rinascono per raccontarla a chi vuole diventare discepolo.

Basti pensare a grandi sportivi che scrivono autobiografie in cui il racconto dello sport è laterale se confrontato con il racconto delle loro vite tristi, infami, di stenti, di morte e rinascita appunto, una rinascita avvenuta con la consacrazione a “dio dello sport”, raffigurazione terrena del dio sportivo.

Oppure a chi fa successo nei media raccontando una storia di morte attraverso la droga, la malavita, un passato oscuro e cupo, che però è servito per essere qui oggi a raccontare a voi discepoli nel tempio una grande storia di vita nuova.

«Io so. Io ho visto la morte in faccia e sono qui oggi per raccontarvela.»

Questo è il messaggio che arriva dai maestri iniziatori.

Ci sono i maestri che mettono in guardia dalla morte, non l’hanno vissuta ma conoscono chi ci è rimasto sotto, e che spingono i seguaci verso la purificazione come unica via.

E sono ad esempio, i guru del cibo.

«Se non vuoi morire, devi mangiare solo verdure. No, solo frutta. No, solo sushi!»

E dietro a ruota, sciami di discepoli a proclamare un uomo o una donna qualsiasi, il detentore della verità, colui o colei che conosce la risposta a tutti i mali, il santone che bonificherà i nostri corpi.

Ogni credo alimentare racconta l’unica via verso la salvezza. E verso l’immortalità, che non è più dell’anima, ma del corpo.

Insomma, le razze del maestro iniziatore e dei discepoli iniziati si stanno moltiplicando sempre di più nel nostro pianeta.

Nell’epoca in cui gli esseri umani hanno, quasi totalmente, libero accesso al sapere, ci piace ritornare a comportamenti medievali e seguire ciecamente chi ha in tasca la Rivelazione, con la R maiuscola.

Sia essa rivelazione sui benefici della zucchina cruda, o sul capo d’abbigliamento più di tendenza.

Mi piace pensare che in queste circostanze, il padre di Gurdjieff, concluderebbe la riflessione con una delle sue “famose” sentenze: la tonaca sta lì per nascondere l’imbecille.

 

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Volti.

Un uomo,
la vita pesa sul suo volto di sole.
Una donna,
la zavorra di un tempo ingrato sul viso.
Io osservo.
E mi chiedo: perché loro?

(foto @ Roberta Lotto)

Breve storia di una (ex) reginetta dell’ascensore.

C’era una volta una ragazza che faceva la figa in ascensore.

Aveva un ascensore tutto per sé, come una vera reginetta.

Postava foto con la spesa, senza spesa, con la borsa del laptop, senza borsa del laptop, con il vestito giallo, con quello rosso e con quello nero, con il nuovo smalto sulle unghie e con la borsa appena arrivata dalla Florida.

A volte compariva anche un ragazzo con la barba. Ma poche volte.

Questa ragazza che faceva la figa, aveva molto spazio libero nel suo cervello per ideare nuovi set fotografici in ascensore, benché il tempo a disposizione fosse poco: dal garage al secondo piano.

Presto, sentendosi troppo sola, aggiunse al suo set un amabile esemplare di golden retriever. Certo lo spazio si era ridotto, ma l’appeal era aumentato!

E così divennero lei il cane e il vestito giallo, lei il cane il vestito nero e la borsa nuova, lei il cane e la spesa, lei il cane la spesa e il laptop.

Ma un giorno tutto cambiò.

La ragazza che faceva la figa in ascensore smise di postare foto su Instagram. 

I più pensarono a qualcosa di terribile, l’ascensore precipitato o l’amabile golden, stanco di farsi fotografare, tramutatosi in Freddy Krueger.

Grazie a Dio nulla di così tragico era accaduto!

La ex reginetta aveva soltanto poco spazio per sé nell’amato ascensore, e soprattutto, la sua già ridotta materia grigia non aveva più energie per pensare al set fotografico o al vestito o all’amabile golden retriever abbinato al trench. La sua unica nuova preoccupazione era quella che il minestrone in bottiglia non spandesse nel passeggino.

Tutto è bene quel che finisce bene.

Fine.

Sigarette.

Ecco il testo integrale della poesia “Sigarette”, ordinata da una vicina di caffè questa mattina.

Fumo sigarette a metà

per averne ancora per dopo

per sentirmi meno in colpa.

 

Non aspiro.

Mi piace il fumo che sale

meglio se ci sono foglie attorno a me

o un cielo azzurro.

 

E’ un’illusione di libertà

è l’ultimo appiglio a quella che ero prima

quella me che non esiste più.

Per fortuna, dicono,

ma io, quella nuova, ancora non la conosco.

 

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Narcisi.

Riporto il testo di questa poesia su ordinazione che ho scritto oggi per una gentile signora che, con un narciso giallo tra le mani, mi ha raccontato del suo vecchio amore passato.

 

Erano i narcisi.

Eri tu.

Sulla riva, con le calle

quelle che piacevano a mia madre.

 

Erano i narcisi.

Erano i tuoi baci, nudi, puliti

come te.

 

Erano i narcisi.

Parlavano di noi,

di tutto quello che eravamo

giovani, inquieti, indecisi.

 

Erano i narcisi.

E di noi non parlano più.

 

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