Per G., che da mesi non esce di casa.

Due parole, per G. che da mesi non può più guardare il suo amato verde.

A te dedico questo verde.

Questo verde che un tempo gestivi tu.

Questo verde che solo tu sapevi domare.

 

Passeggiavi sicura e forte

il coraggio di chi nascondeva i partigiani in casa,

la fierezza di chi è giusto,

l’abbraccio di una madre.

 

Questo verde è per te.

Ha accolto le tue lacrime, i tuoi sogni,

i tuoi figli, i tuoi nipoti.

Tu sapevi parlargli,

tu lo conoscevi meglio di tutti noi.

 

Foglie, erbe, fronde

tutto parla la tua lingua.

E’ qui fuori che ti chiama,

è il tuo verde, da cui non puoi scappare.

 

Cresce, florido, perché a differenza di noi uomini,

più invecchia più risplende,

è il tuo verde,

ti ama, ti protegge, ti stringe a sé.

 

E io lo dedico a te,

è l’unico modo che ho per parlarti del mio amore.

Il tuo verde

ti aspetta,

ti aspetto.

 

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Breve storia di una (ex) reginetta dell’ascensore.

C’era una volta una ragazza che faceva la figa in ascensore.

Aveva un ascensore tutto per sé, come una vera reginetta.

Postava foto con la spesa, senza spesa, con la borsa del laptop, senza borsa del laptop, con il vestito giallo, con quello rosso e con quello nero, con il nuovo smalto sulle unghie e con la borsa appena arrivata dalla Florida.

A volte compariva anche un ragazzo con la barba. Ma poche volte.

Questa ragazza che faceva la figa, aveva molto spazio libero nel suo cervello per ideare nuovi set fotografici in ascensore, benché il tempo a disposizione fosse poco: dal garage al secondo piano.

Presto, sentendosi troppo sola, aggiunse al suo set un amabile esemplare di golden retriever. Certo lo spazio si era ridotto, ma l’appeal era aumentato!

E così divennero lei il cane e il vestito giallo, lei il cane il vestito nero e la borsa nuova, lei il cane e la spesa, lei il cane la spesa e il laptop.

Ma un giorno tutto cambiò.

La ragazza che faceva la figa in ascensore smise di postare foto su Instagram. 

I più pensarono a qualcosa di terribile, l’ascensore precipitato o l’amabile golden, stanco di farsi fotografare, tramutatosi in Freddy Krueger.

Grazie a Dio nulla di così tragico era accaduto!

La ex reginetta aveva soltanto poco spazio per sé nell’amato ascensore, e soprattutto, la sua già ridotta materia grigia non aveva più energie per pensare al set fotografico o al vestito o all’amabile golden retriever abbinato al trench. La sua unica nuova preoccupazione era quella che il minestrone in bottiglia non spandesse nel passeggino.

Tutto è bene quel che finisce bene.

Fine.

La fine del corso e la mola.

Rifletto.

La fine di un percorso, sia esso una maratona, un viaggio o un corso di scrittura porta sempre a una riflessione.

Sette mesi fa la mail di conferma per l’iscrizione. Due mesi dopo l’inizio. E ora, quattro mesi dopo quel primo Febbraio, la conclusione.

Ieri sera con il piede sull’acceleratore, sola in un’autostrada vuota, mentre la voce di una primissima Nina Persson tentava di distrarmi, non potevo fare a meno di commuovermi. Già, perché questi quattro mesi di “lunedì sera a Treviso” mi hanno presa per mano e condotta verso la fine di un cammino. Mi sembrava così lontana la giornata di ieri, che non mi sono resa conto di averla superata. E quando nel buio di un lunedì notte nemmeno un camion accompagnava il mio tragitto verso casa, tutto è esploso in un secondo.

Che cosa scriverò nell’esercizio per il prossimo lunedì? Nulla. Non ci sono esercizi.

Come sarà la prossima lezione? Nulla. Non ci saranno prossime lezioni.

Di punto in bianco, mi sono resa conto che ora tocca a me. Non ho più scuse, più pretesti, più appigli. Non c’è più un insegnante che possa dare un consiglio, né un compagno con cui potermi confrontare. Certo, ci sarà sempre qualcuno a cui chiedere, ma dovrà partire tutto da me.

Il tempo del tergiversare è giunto al termine.

Lo strumento con cui scrivo è stato affilato sulla mola, ora è pronto per essere usato. Non so ancora cosa produrrà; forse andrà smussato di nuovo, preso a martellate, scagliato al suolo in impeti d’ira e poi ripreso per essere usato ancora.

Basta avere paura, è ora di tuffarsi.

MOLA