I am the love killer,
I am murdering the music we thought so special,
that blazed between us, over and over.
I am murdering me, where I kneeled at your kiss.
(Anne Sexton)
C’è qualcosa di estatico nel vivere un amore incompiuto, un amore impossibile che non può avere esecuzione, un amore per cui due esseri si cercano si avvicinano si sfiorano ma non potranno mai unirsi.
Ma se è vero che ogni medaglia ha anche il suo rovescio, l’estasi è accompagnata dalla più cupa delle tristezze, grigia come il rumore sordo di un’ancora che ara sul fondo roccioso del mare.
Quel giorno non potei fare a meno di accorgermi di quanto fosse cambiato il suo sorriso: assente, è questo l’unico aggettivo a cui potei pensare. Era un sorriso assente.
Le chiesi cosa avesse, e mi rispose alzando lo sguardo verso le foglie dei melograni sopra di noi: «Oh, niente» pausa «Niente niente»
Come se avesse risposto a sé stessa, quasi per tranquillizzarsi.
Sapevo che stava mentendo; non con la perfidia di chi mente per ferire, ma con l’ingenuità di chi mente sperando di dimenticare.
Una coppia di tortore volò sopra di noi e si appoggiò sul ramo più alto di un tiglio.
«Non è rilassante?» Mi chiese mentre fissava il cielo in un punto non ben definito.
«Cosa?»
«Tutto questo. Le cicale, il melograno, i tigli sopra di noi, le tortore che volano. Sembra che tutto si muova senza curarsi di altro. Il mondo gira, fregandosene di tutti. E c’è della quiete in questo continuo movimento».
«Spiegati meglio, non riesco a capirti».
«Sì, sembra una contraddizione ma nel movimento perpetuo della natura io trovo la pace. È come una certezza materna: per quanto dolore tu possa provare, per quanti amori potranno finire, per quante persone ti potranno abbandonare le stagioni continueranno a ruotare, e ci sarà sempre un melograno o un tiglio sopra la tua testa e due tortore che voleranno».
«Maria, cosa succede?» chiesi preoccupato, guardando le sue dita aggrappate ai braccioli della poltrona.
«Nulla. Non succede nulla, perché non deve succedere nulla. E nulla è la sola cosa che possa permettermi di provare».
«Mi stai facendo preoccupare. Ti prego, dimmi che cosa ti fa stare così male».
Calma, si girò verso di me togliendosi i grandi occhiali da sole scuri mostrandosi in tutta la sua nuda fragilità e cominciò.
«Doveva essere uno scherzo, una cosa così per gioco, niente di speciale. Due parole, qualche messaggio, ogni tanto una passeggiata a guardare il fiume. Pochi minuti, niente di serio».
Ogni tanto si bloccava, risaliva in superficie, prendeva l’ossigeno per poi ritornare giù, nell’abisso del suo racconto.
«La cosa poi, ha iniziato a diventare di più. Ovviamente sapevamo entrambi che non avrebbe avuto futuro, che non ci sarebbe stato nulla per noi su questa vita, ma ce ne siamo fregati e abbiamo continuato a giocare. Stupidamente certi che sarebbe stato tutto gestibile. Finché per me è diventata troppo grande da poter essere ignorata, e troppo radicata per poterla estirpare. Mentre lui…»
«Lui cosa, Maria?»
«Lui nulla. Lui mi ha detto di sparire» disse rimettendosi gli occhiali da sole.
Un leggero soffio di vento le spostò una ciocca di capelli sulle labbra, ma lei parve non accorgersene. Alzò di nuovo gli occhi ai tigli.
«E ora, che intendi fare?»
«Sparire. Posso solo sparire».