Oggi è un giorno speciale. Specialissimo per me.
E’ il cinquantesimo anniversario della pubblicazione di Cent’anni di solitudine, di Gabriel Garcia Marquez, in assoluto il mio scrittore preferito.
Curiosando nelle memorie di Gabo, ho trovato qualcosa, anzi qualcuno, che mi ha fatto vibrare le corde dell’anima, come tutto ciò che ruota attorno allo scrittore colombiano: Carmen Balcells.
Gabo era un genio, ma senza Carmen probabilmente sarebbe rimasto nascosto nelle giungle di Macondo.
Carmen non era la solita figlia d’arte, non era nemmeno una saccente letterata, era un perito commerciale, una che cercava fortuna e che la trovò. Si lasciava guidare dal sesto senso, dal fiuto, dall’intuito, dalla pelle. E grazie a questi doni innati, che nessun corso universitario avrebbe potuto insegnarle, fece un grande regalo all’umanità intera: portò al successo scrittori come Garcia Marquez, Vargas Lllosa, Isabel Allende e tanti altri.
Erano altri anni, anni in cui l’editoria non era così degradata come lo è ora, ma mi consola sapere che anche dei mostri sacri abbiano avuto bisogno di un aiuto terreno per essere consacrati.
Forse, se oggi gli editori scendessero dai loro piedistalli fatti di titoli, corsi e scuole di scrittura, se uscissero in strada anziché starsene arroccati dentro le loro mura fatte di pregiudizi e si lasciassero guidare dall’istinto e dal sesto senso, potrebbero incappare nel nuovo Gabo, o in una nuova Allende.
Non gli era mai venuto in mente fino allora di pensare alla letteratura come al miglior giocattolo che si fosse inventato per burlarsi della gente.
Cent’anni di solitudine, Gabriel Garcia Marquez